Le principali banche globali prevedono che i prezzi dell'oro rimarranno elevati per tutto il 2025, raggiungendo potenzialmente il traguardo dei 3.000 dollari per oncia, poiché le incertezze geopolitiche continuano a plasmare il sentiment degli investitori.
Tra i principali fattori trainanti di questa ripresa ci sono le aggressive politiche commerciali del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, tra cui nuovi dazi su importanti partner come Canada, Messico e Cina, che hanno innescato misure di ritorsione da parte di queste nazioni.
Citi ha risposto a questi sviluppi rivedendo il suo obiettivo di prezzo a breve termine (0-3 mesi) per l'oro fino a 3.000 dollari per oncia contro i precedenti 2.800 dollari.
La banca ha anche migliorato le sue previsioni di prezzo medio per il 2025 innalzando le stesse da 2.800 dollari per oncia a 2.900 dollari: "Il mercato rialzista dell'oro sembra destinato a continuare sotto Trump, con guerre commerciali e tensioni geopolitiche che rafforzano la tendenza alla diversificazione delle riserve/de-dollarizzazione e sostengono la domanda di oro… e con preoccupazioni sulla crescita globale destinate ad aumentare la domanda di investimenti ETF e OTC", ha affermato Citi in una nota.
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Grafico Tradingview
"Prevediamo che l'oro continuerà a salire come copertura contro la crescita e altri rischi, inclusi rischi di crescita reali e percepiti, tra cui guerre commerciali, tassi di interesse ancora elevati che pesano sulla crescita, continuo deterioramento del mercato del lavoro statunitense, rischi di svalutazione della valuta ex-USA e potenziali rischi di calo delle azioni statunitensi", ha osservato la banca.
Nel frattempo, i dati del World Gold Council hanno mostrato che la domanda globale di oro è aumentata dell'1% a un record di 4.974,5 tonnellate metriche nel 2024, guidata da maggiori investimenti e maggiori acquisti da parte delle banche centrali nel quarto trimestre.
"Mentre la crescita dovrebbe rimanere robusta nella prima metà del 2025, le prospettive future dipenderanno in larga misura dalla tempistica e dall'entità delle politiche fiscali, commerciali e di immigrazione negli Stati Uniti e dal grado di ritorsione tariffaria", ha affermato Macquarie in una nota del 5 dicembre.
Fonte Reuters